Raccontare lo sfruttamento lavorativo oltre l’emozione del momento
Si è tenuto domenica 28 settembre a Marghera l’evento conclusivo delle azioni di sensibilizzazione del progetto Common Ground in Veneto. L’evento è stato un’occasione per riflettere sulle strategie di partecipazione e comunicazione necessarie per contrastare efficacemente lo sfruttamento lavorativo.
Ospite del pomeriggio è stato Luca Misculin, giornalista de Il Post, che ha dialogato con Francesca Dettori della cooperativa La Esse. L’incontro è stato anche l’occasione per presentare i video realizzati nell’ambito del progetto, che vede la collaborazione di numerose cooperative e realtà del Veneto impegnate quotidianamente sul campo (le realtà attuative in Veneto: Comunità dei Giovani, EqualityCoop, La Esse, Gruppo R cooperativa sociale, Una Casa per l’Uomo, Associazione Francescane con i poveri, Associazione Welcome, Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII, Caritas di Rovigo – Il manto di Martino).
L’intervento di Misculin ha evidenziato le difficoltà e le contraddizioni del sistema mediatico italiano nel raccontare un fenomeno complesso come lo sfruttamento. Secondo il giornalista, l’informazione in Italia soffre principalmente di due problemi principali: un giornalismo superato, gestito da una generazione con poca cultura digitale e poco propensa alla creatività e a trovare linguaggi e strumenti nuovi ed editori talvolta interessati ad orientare la linea editoriale ed il dibattito pubblico a proprio vantaggio.
Questi due aspetti si traducono in una copertura mediatica che fatica a cogliere la contemporaneità e la complessità di alcuni fenomeni, che stimola più ad empatizzare con l’imprenditore oberato dalle tasse che con il lavoratore sfruttato. “Ci accorgiamo del problema solo quando capita la tragedia”, ha affermato Misculin, evidenziando come la mancanza di tempo, risorse e la precarietà dei giornalisti freelance rendano difficile un lavoro di inchiesta approfondito e costante. Al contrario, l’informazione e la narrazione di questi fenomeni complessi dovrebbe essere continua, anche quando i riflettori si spengono.
Dall’evento è emerso un parallelismo tra le difficili condizioni di lavoro nel giornalismo e quelle di chi opera nel sociale in azioni di contrasto allo sfruttamento lavorativo. Come ha evidenziato Francesca Dettori, anche gli operatori del settore si sentono spesso “schiacciati dalla quotidianità” e faticano a raccontare il proprio lavoro in modo incisivo, rischiando di rimanere isolati e marginalizzati.
Proprio su questo punto, Misculin ha offerto uno spunto cruciale. Ha messo in guardia contro la trappola del “giornalismo delle storie”, una comunicazione basata esclusivamente sulla ricerca di emozioni forti. In un’epoca dominata dai social, dove l’attenzione è catturata da “vicende che fanno indignare” o “storie strappalacrime”, il rischio è duplice: da un lato, l’emozione lascia poco spazio all’analisi e al senso critico; dall’altro, si alimenta una narrazione che, per “bucare l’indifferenza”, richiede storie sempre più estreme e drammatiche. Questo porta a quella che è stata definita una “pornografia delle storie”, in cui il pubblico cerca morbosamente i dettagli più traumatici.
La proposta, quindi, è quella di intrecciare il “micro” con il “macro”: partire da una storia individuale, capace di generare empatia, ma inserirla sempre in una cornice più ampia, con dati e contesto, per far comprendere la portata del fenomeno. L’obiettivo è stimolare una reazione che superi il livello “prepolitico” – come un commento rabbioso su Facebook – e si traduca in un’azione politica collettiva, l’unica in grado di generare un cambiamento reale e duraturo.
L’evento si è concluso con l’auspicio che il progetto possa avere un seguito, un “Common Ground 2”, che riparta proprio dalla progettazione di azioni condivise con le realtà associative coinvolte nel Common Ground, per andare oltre il “solo coinvolgimento” e arrivi alla partecipazione delle comunità con background migratorio. Un messaggio di speranza, per continuare a costruire un terreno comune contro lo sfruttamento, anche nel modo di raccontarlo.
In questi due anni, la associazioni che hanno collaborato e dedicato il loro tempo nella realizzazione dei laboratori di confronto sullo sfruttamento lavorativo sono state Associazione Diamoral Senegal, Comunità Donne Bangladesh, Associazione Igbo Union Nigeria, Associazione Attawasol Marocco, Associazione O.S.R.A. Organizzazione Sostegno Rete Azione, “Vivere in Italia” Caritas diocesana di Adria-Rovigo, Associazione Senegambia, A.M.A.VE Associazione Maliani e Amici nel Veneto, Gambia Youth Association Padova, Comunità Tunisina Verona, Associazione AfroVeronesi, Consiglio Islamico di Verona.




Foto di Francesco Silvestrin