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30.01.2023

Casa Giavera: la storia di Moussa

Oltre a tutto il resto, cioè ai coinquilini, agli operatori, alla cucina condivisa e alla salita impervia per arrivare alla struttura, quando escono dal progetto, gli ospiti di Casa Giavera lasciano indietro foto, carte, documenti, alcuni piccoli oggetti più o meno quotidiani. 

Nel caso di Moussa, dopo la sua partenza abbiamo trovato, dietro ai cassetti e in una cartella che ci ha consegnato con un “questo non mi serve più”, alcune cose: il diploma di un corso di italiano A1 ormai più che superato, una tessera della mensa della Caritas, le istruzioni per attivare una carta prepagata, il protocollo di sicurezza del primo lavoro in una falegnameria, un referto medico negativo al test Mantoux e alcuni biglietti della corriera.

Le persone possono essere più o meno riservate e non pretendiamo che chi entra in questa Casa condivida con noi il vissuto di tutte le traversate, di tutte le fatiche e di tutte le notti per strada; a ognuno i suoi tempi e i suoi silenzi! Gli oggetti che lasciano indietro rimangono invece testimoni di un percorso e possono essere letti in mille modi diversi.

Come tanti altri, Moussa parte un giorno, attraversa un mare e arriva in un paese che non conosce. Dopo la confusione dello sbarco, viene indirizzato ad un Centro di Accoglienza Straordinaria nel nordest d’Italia. L’attesa del Permesso di Soggiorno è lunga e ad un certo punto decide di abbandonare il Centro per cercarsi un lavoro altrove. Sono molte le strade che portano alla strada e Moussa si trova ad un certo punto in difficoltà. Ha un amico a cui qualcuno ha parlato di Casa Giavera ed ecco che Moussa arriva da noi una mattina di estate, con uno zainetto sulle spalle.

Casa Giavera è forse questo: un posto al quale si può arrivare, ma anche un punto di partenza. Moussa ha cominciato ad andare nei campi pochi giorni dopo il suo arrivo, in maniera intermittente, a settembre per la vendemmia e più avanti per le raccolte di radicchio. Una sera dopo la cena ci ha mostrato le ricevute di una richiesta di asilo ormai datata e il numero di telefono di un avvocato con il quale aveva perso i contatti. Ci sono voluti diversi passaggi e alcuni appuntamenti in Questura prima che Moussa potesse avere un Permesso di Soggiorno più stabile. Ci sono volute altrettante sedute davanti al computer e almeno un paio di colloqui di lavoro prima che Moussa riuscisse ad essere assunto in una falegnameria, dove gli hanno fatto un contratto a tempo pieno di alcuni mesi, con orari fissi ed una busta paga. 

Abbiamo dovuto aspettare quasi due anni per festeggiare l’indeterminato e ci siamo quasi quasi dimenticati (noi, lui probabilmente no) i mesi di stallo dopo la prima stagione, quando lo vedevamo fare la salita che porta a Casa Giavera, su e giù in bici, un giorno sì e l’altro anche, a mani vuote, e la frustrazione di fronte a quelle offerte senza contratto, senza orari e fuori busta. 

Moussa ha finalmente trovato un posto letto in un appartamento vicino alla sua falegnameria, e se n’è andato lasciando indietro carte, documenti, alcune piccole cose che segnano le tappe travagliate di un percorso. Ma Moussa ha lasciato indietro, soprattutto, una storia di resilienza, di determinazione e di condivisione che ora fa parte di questa Casa, e che ci aiuterà a ricevere meglio chiunque arrivi e ad accogliere il vissuto più o meno silenzioso che c’è in ognuno di noi.


Per l’anno 2022 la Cooperativa La Esse ha ricevuto dalla Diocesi di Treviso il contributo 8XMille per la realizzazione delle azioni di accoglienza del progetto Casa Giavera.

Foto di Matteo De Mayda

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